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martedì 17 febbraio 2015 ore 20.45
Teatro comunale di Pergine

Effetto festival
Mondovisioni - I documentari di Internazionale

regia di Marshall Curry
documentario, Stati Uniti, 2014, 82 minuti
Matt VanDyke è un timido 27enne che nel 2006 lascia Baltimora per intraprendere un "corso intensivo in virilità": compra una moto e una videocamera e…

inizia un viaggio attraverso Nord Africa e Medio Oriente, che lo porterà nel mezzo della rivoluzione libica con un'arma da fuoco in una mano e la videocamera nell'altra.

Ingresso €5 (€2 per tessera annuale)
Abbonamento studenti a 10 film €10 (€2 per tessera annuale)
Abbonamento intero a 10 film €25 (€2 per tessera annuale)

Intervista a Marshall Curry

Un giorno ricevetti una mail da Matthew, in cui mi diceva di aver visto i miei lavori (Street Fight, Racing Dreams, If a Tree Falls). Mi spiegò di essere tornato recentemente dalla Libia, dove aveva collaborato con i ribelli contro il regime di Gheddafi e che aveva centinaia di ore di girato di questa sua esperienza e di un pluriennale viaggio in moto che lo aveva portato in Libia. Venne a New York per incontrare me e la mia coproduttrice (Elizabeth Martin) e ci raccontò la sua storia. Elisabeth e io pensammo fosse una storia eccezionale, ricca di domande sull’avventura, l’idealismo, la trasformazione e sul modo in ci diamo forma a noi stessi. Ne parlammo per giorni. La ragione per cui faccio documentari è esattamente per sollevare quel tipo di domande. Così decidemmo di provare semplicemente a replicare l’esperienza che si ha quando si parla con un affascinante sconosciuto, come succede in un bus, o in un bar, ascoltandone la storia (che in questo caso era illustrata da ore di materiale video intimo e dirompente). Qualche mese più tardi andai a Baltimore a girare i primi due giorni di intervista che costituiscono la spina dorsale del film.

Penso che Matt non abbia fatto il film da sé ma abbia cercato qualcun altro per due ragioni. La prima è che voleva continuare a lavorare sulla rivoluzione siriana e su una serie di progetti che stava portando avanti per sostenerla. La seconda è che si era accorto quando è difficile fare un documentario per il cinema. Quando mi contattò per la prima volta gli spiegai che lavoro solo su progetti in cui ho il completo controllo creativo e lui non ebbe nulla da ridire. Il suo input creativo restava comunque importante in quanto narratore e autore della maggior parte del girato. Inoltre ha visionato le varie versioni del montato, dandomi suggerimenti e impressioni. Ci sono alcune cose che avrebbe fatto diversamente se fosse stato lui a dirigere il film, ma mi ha lasciato una totale indipendenza.

Sull’ingenuità del suo primo viaggio Matt è disposto a parlare molto apertamente, ed è stata uno degli elementi che più mi hanno affascinato sin dall’inizio. Mi ha molto colpito il modo in cui raccontava le sue paure e i suoi errori, le sue debolezze, a me e al pubblico. È ciò che rende la sua storia ancora più universale e carica di spessore, non un fumetto a due dimensioni. 

Per Matt è stato molto difficile stare davanti e dietro la telecamera. È praticamente impossibile preoccuparsi della luce o della messa a fuoco e allo stesso tempo di interpretare autenticamente un momento di vita, soprattutto nelle condizioni estreme in cui si trovava Matt. Più in piccolo è un problema che ogni documentarista affronta, e oggi, con l’ubiquità dei social network, è qualcosa che capita praticamente a tutti. Sei a una festa o in bel parco, fai una foto per Facebook o pensi a un buon Twit? O ti godi semplicemente il momento presente? È una domanda che torna continuamente nel film, e non solo da parte di Matt, ma anche delle persone che lo circondano in Iraq e Libia.

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